IMAGO finzïon d’incanto
FLAVIA FRANCESCHINI
Faro Arte Galleria, Marina di Ravenna
Il titolo della personale della ferrarese Flavia Franceschini è un omaggio a Ludovico Ariosto, suo illustrissimo concittadino di mezzo millennio fa: IMAGO, rimando a figure e malie con cui suscitare un incantesimo, come quella “finzïon d’incanto” che creava il Mago Atlante nell’Orlando Furioso. Incanto dei desideri che rincorrono immagini vane e sfuggenti. Tracce e frammenti di memoria e di sogno come confini tra il visibile e l’invisibile.
E’ un tema che affascina quest’artista e che ricerca nelle sue creazioni di opere passate e recenti, molte delle quali nate appositamente per questa esposizione.
Alla scultura in legno, iniziata negli anni ’80, l’artista affianca da tempo l’approccio ad altri materiali, seguendo il filo conduttore della tridimensionalità. Esplorando altre tecniche, che accolgano il desiderio di evanescenza e di leggerezza, per levare le catene della pesante gravità che il legno inevitabilmente ha come confine. Stoffe, colle, carte, gessi per creare il rilievo, fino alle ultime esperienze, in cui toglie il più possibile concretezza alle forme, per cercare di inseguire pensieri e ricordi impalpabili e sfuggenti.
La costante presenza della luce che filtra attraverso le sue opere realizzate in stoffe trasparenti o in immagini fotografiche e video, è parte intrinseca di questa sua ricerca.
Omaggio all’Orlando furioso
di Riccardo Belloni
Flavia Franceschini (Ferrara, 1955) espone a Marina di Ravenna, alla Galleria FaroArte, fino al 24 settembre. Il titolo della mostra è Imago, finzion d’incanto, un omaggio all’Orlando furioso dell’Ariosto, cui sono dedicati molti lavori. L’arte di Franceschini è assai variegata nelle tecniche e nei materiali, dalle splendide sculture in legno, cesellate come pietre preziose, ai quadri, alle foto, ai video e quant’altro.
L’esaustivo catalogo, sotto l’egida di Capit Ravenna, Felsina Factory Bologna e Pro Loco di Marina, è corredato da un’antologia critica con testi di Carlo Bassi, Gianni Cerioli e Silvia Pegoraro. Nella prefazione, Sandro Malossini, curatore della mostra, paragona certi lavori alla dinamica delle nubi, cogliendo in essi qualcosa di etereo, metamorfico ed effimero, analogamente alle figure, per così dire, “scolpite” dal caso nelle nuvole.
Il denominatore comune di tutte le opere è una poetica coltissima e raffinata che esplora, in chiave surreale, l’interfaccia fra mitologia e realtà, sogno e memoria, archetipo e conoscenza. Molti lavori sembrano una materializzazione dei fantasmi della memoria, talora trasfigurati dal “tempo irreparabile”, per dirla con Virgilio.
Nei disegni di questo genere, l’artista si affida talvolta ad una definizione lineare di estrema rarefazione, tendendo alla percezione liminale delle figure, a beneficio del fascino dell’indeterminato e della lontananza. Tuttavia, si recepisce sempre una metafisica dell’immagine, anche quando questa è realisticamente e nettamente definita, come in quelle figure mitiche femminili che sembrano quasi sognare, in una sorta di sonnambulismo estatico, oppure in quei volti (in raffinatissima tecnica mista) che “affiorano” come dei ricordi, apparendo in sospeso fra l’emergere interamente dal quadro o sprofondare nuovamente in esso, ovvero nell’oblio.
In talune opere (Leda, La maga Alcina), si ravvisa una sottile riflessione sull’amore fisico, dove la sensualità sublima in un superiore senso della bellezza.
In altre (ad esempio in «Angelica che seco aveva quell’annel miralbil…»), le figure si accumulano su strati diversi (pannelli di plexiglass incisi e inchiostrati), come le enigmatiche grafie dei fossili incise nelle rocce. Anche qui, come nelle altre opere esposte, si percepisce un profondo senso del mito, della cultura e della transitorietà di tutte le cose.
Le nubi di Flavia Franceschini
C'è un'immagine nella mia memoria che associo ai lavori di questi ultimi anni realizzati da Flavia Franceschini: con la macchina scendevo verso il lago di Annecy per partecipare come ospite al festival cinematografico che si svolge lì ogni anno, quando, avvolto da nubi basse, bianchissime, luminosissime, quasi abbaglianti, mi comparivano sagome di edifici, strade, alberi, figure: le vite nascoste di ogni cosa. A poco a poco mettevo a fuoco quel tanto necessario per proseguire la mia corsa nella ricerca delle definizione delle cose, nel desiderio di trovare un'immagine sicura, reale, a cui ancorare la guida. Improvvisamente tutto è sparito, la luce è comparsa nella sua pienezza, non più velata, racchiusa nella memoria di una nube. Così questa immagine, della mia memoria, si sovrappone a quella dei lavori di Flavia Franceschini. La memoria, il ricordo, l'opacità di un ricordo che affiora e si ritrae dietro veli, che fa schermo a se stesso, che ci parla ma in modo sommesso, quasi incomprensibile se non si accosta l'orecchio, se non si presta attenzione al labiale. Mai nulla è violento, mai storia è raccontata con più leggerezza, con una poetica ricca di contenuti concettuali accompagnati dalla grande manualità che contraddistingue tutto l'operato di Flavia Franceschini.
Credo anche che l'arte per Flavia Franceschini appartenga al suo DNA, che sia costantemente presente in tutte le sue forme, anche quelle da lei non praticate e che la ricerca della memoria, propria ed altrui, sia la strada maestra di tutta la sua ricerca. La citazione colta, il pensiero che sottende i titoli delle opere, non sono mai casuali o forzatamente accostati ai legni modellati, ai plexiglas incisi e colorati. Tutto è fuori dal tempo presente ma appartiene a questo tempo. Parrebbe un viaggio nel tempo, in quello passato, ma solo in quello che di bello ogni tempo ha avuto.
Le figure velate, scolpite o dipinte sono sempre auliche, anche quando appartengono solo alla fantasia e non hanno una loro storia se non quella che l'artista riesce a raccontare fingendosi cronista di un tempo senza tempo, di immagini senza immagini, di memoria che cerca se stessa nel ricordo di un racconto sentito e ora ricostruito.
Se le nubi di Annecy sono rimaste così impresse nella mia memoria ora posso pensare che anche le nubi di Flavia Franceschini possano rimanere impresse nelle memoria collettiva di chi avrà occasione di visitare questa bella mostra.
Sandro Malossini
C'è un'immagine nella mia memoria che associo ai lavori di questi ultimi anni realizzati da Flavia Franceschini: con la macchina scendevo verso il lago di Annecy per partecipare come ospite al festival cinematografico che si svolge lì ogni anno, quando, avvolto da nubi basse, bianchissime, luminosissime, quasi abbaglianti, mi comparivano sagome di edifici, strade, alberi, figure: le vite nascoste di ogni cosa. A poco a poco mettevo a fuoco quel tanto necessario per proseguire la mia corsa nella ricerca delle definizione delle cose, nel desiderio di trovare un'immagine sicura, reale, a cui ancorare la guida. Improvvisamente tutto è sparito, la luce è comparsa nella sua pienezza, non più velata, racchiusa nella memoria di una nube. Così questa immagine, della mia memoria, si sovrappone a quella dei lavori di Flavia Franceschini. La memoria, il ricordo, l'opacità di un ricordo che affiora e si ritrae dietro veli, che fa schermo a se stesso, che ci parla ma in modo sommesso, quasi incomprensibile se non si accosta l'orecchio, se non si presta attenzione al labiale. Mai nulla è violento, mai storia è raccontata con più leggerezza, con una poetica ricca di contenuti concettuali accompagnati dalla grande manualità che contraddistingue tutto l'operato di Flavia Franceschini.
Credo anche che l'arte per Flavia Franceschini appartenga al suo DNA, che sia costantemente presente in tutte le sue forme, anche quelle da lei non praticate e che la ricerca della memoria, propria ed altrui, sia la strada maestra di tutta la sua ricerca. La citazione colta, il pensiero che sottende i titoli delle opere, non sono mai casuali o forzatamente accostati ai legni modellati, ai plexiglas incisi e colorati. Tutto è fuori dal tempo presente ma appartiene a questo tempo. Parrebbe un viaggio nel tempo, in quello passato, ma solo in quello che di bello ogni tempo ha avuto.
Le figure velate, scolpite o dipinte sono sempre auliche, anche quando appartengono solo alla fantasia e non hanno una loro storia se non quella che l'artista riesce a raccontare fingendosi cronista di un tempo senza tempo, di immagini senza immagini, di memoria che cerca se stessa nel ricordo di un racconto sentito e ora ricostruito.
Se le nubi di Annecy sono rimaste così impresse nella mia memoria ora posso pensare che anche le nubi di Flavia Franceschini possano rimanere impresse nelle memoria collettiva di chi avrà occasione di visitare questa bella mostra.
Sandro Malossini